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Una casa molto animata

Nei due anni di stato di emergenza, tra chiusure e riaperture, quarantene auto inflitte o imposte, l’edificio che chiamiamo casa è stata molto animata ed ha rappresentato la summa di tutto il nostro mondo. Per qualcuno non si è rivelato nemmeno un male: un nido confortevole e una buona compagnia hanno permesso che il tempo fluisse lieve, senza intoppi, e tutto si è risolto in una pausa rigenerativa. Ma per altri quei giorni sono stati scomodi e sono andati stretti come un monolocale mansardato senza finestre né aria condizionata e per di più infestato da parassiti.

Tutto questo ha portato al verificarsi di due situazioni: nella prima, la casa è mutata, trasformandosi in un organismo totalizzante, uno spazio che nel migliore dei casi è riuscito ad esprimere tutte le passioni dei propri abitanti; nel secondo caso è divenuta un bozzolo perverso, che ha condizionando pesantemente gli inquilini, mutandoli in creature spaventate e antisociali.

L’elettrodomestico che ha regnato sovrano in questi contesti è sicuramente stato lo schermo (televisivo, del pc, dello smartphone), cuore pulsante, via di fuga e finestra sul mondo, che ha snocciolato ininterrottamente migliaia di ore di immagini. Ciò nonostante, “la casa” è stata il minimo comune denominatore di questa vita segregata, nonché teatro dei tre episodi che compongono The House, animazione interamente realizzata in stop-motion da un gruppo di giovani autori di diverse nazionalità e prodotta da una società inglese per Netflix.

Tre punti di vista collocati in epoche diverse – passato, presente e futuro – che negli ultimi due episodi hanno per protagonisti animali antropomorfi inseriti in situazioni a dir poco grottesche (forse che l’umanità tutta abbia subito la sorte dei protagonisti del primo episodio, lasciando spazio allo sviluppo di questa nuova razza animale? Chissà!).

Si parte seguendo una famiglia in difficoltà economica, padre, madre e figlia, che accettano di trasferirsi in una nuova abitazione costruita apposta per loro da un facoltoso quanto misterioso mecenate. Insediatisi nella mutevole dimora diventeranno parte integrante dell’edificio(!).

Nel secondo episodio, un giovane topo cerca di sistemare la casa nella speranza di venderla a degli acquirenti affidabili, ma si trova a lottare con la sua deleteria ossessione oltre che con le infestazioni parassitarie che crescono esponenzialmente, fino a diventare i veri inquilini.

Anche nel terzo episodio il rapporto con gli affittuari è centrale e complesso, ma in questo caso decisamente salvifico per la protagonista felina che riuscirà a levare gli ormeggi mirando ad un futuro più radioso, nonostante il suo legame con la casa rimanga fondante.

In tutti e tre gli episodi si rimane spiazzati e si ritrovano la cura e la manualità presenti nei precedenti lavori degli autori. I primi in ordine sono Emma de Swaef e Marc James Roels, due autori belgi, che già in un precedente cortometraggio intitolato Oh Willy… costruiscono un mondo in cui il surreale si adagia lentamente sull’esperienza del personaggio principale, guidandolo verso una sorta di compensazione materna.

Niki Lindroth von Bahr, pluripremiata artista con base a Stoccolma, sottolinea difetti e paure insiti nella società moderna facendo ricorso ad animali antropomorfi come in Bath House, uno dei suoi lavori rintracciabile in rete.

Paloma Baeza è la regista dell’ultima parte, la più ottimista delle tre. La giovane animatrice si è meritata un Bafta nel 2017 con il suo cortometraggio di diploma, Poles Apart, di cui al momento si trova solo un trailer.

Un gruppo di autori composito e affatto scontato, che è più facile incontrare ai festival piuttosto che in televisione e che ha molto da dire.

Gran Bretagna, 2022, 97′

di Emma de Swaef
e Marc James Roels,
Niki Lindroth von Bahr,
Paloma Baeza

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