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Faccia da cinema: centenario Livio Lorenzon

L’associazione Europa Cultura e la Cappella Underground di Trieste ricordano il grande attore e caratterista triestino, forse il più importante volto cinematografico espresso dalla città di Trieste. Negli anni Sessanta Livio Lorenzon, scomparso nel 1971 a soli 49 anni, si era affermato come uno dei maggiori caratteristi del cinema italiano. Ha interpretato oltre 80 film, oltre a commedie e sceneggiati televisivi.

Martedì 2 maggio, alle 18.30 al Cinema Ariston, con ingresso aperto alla città la proiezione del film “Il vedovo”, nel quale Livio Lorenzon recita accanto ad Alberto Sordi e Franca Valeri. Sarà l’occasione per presentare il documentario dedicato a Lorenzon, in fase di lavorazione per la regia di Sergio Naitza, una produzione Karel – Europa Cultura. Alla proiezione interverrà il figlio dell’attore, responsabile dell’archivio artistico e personale dell’artista, Roberto Lorenzon.

Ha interpretato oltre 80 film, commedie e sceneggiati televisivi, diventando – a cavallo fra la metà degli anni Cinquanta e la fine degli anni Sessanta – un volto decisamente familiare al grande pubblico cinematografico, e attraversando il periodo d’oro del grande schermo come un camaleontico highlander di celluloide: calandosi nei film di cappa e spada, immergendosi in avventure marinare, indossando il peplum nei low-cost mitologici, cavalcando beffardo negli spaghetti western. Livio Lorenzon, triestino classe 1923, è certamente uno dei più importanti attori cinematografici espressi dalla città di Trieste, forse quello di maggiore successo e riconoscibilità. La sua prematura scomparsa, nel 1971 a soli 49 anni, non ha purtroppo aiutato a ricordarlo come avrebbe meritato. In vista del 6 maggio 2023 che segna il centenario della nascita, un omaggio alla sua poliedrica personalità artistica sarà tributato dall’Associazione Europa Cultura e dalla Cappella Underground, con la proiezione – martedì 2 maggio, alle 18.30 al Cinema Ariston – di una delle sue più iconiche interpretazioni, quella del marchese Stucchi ne “Il vedovo” (1959), il film di Dino Risi nel quale ha recitato accanto ad Alberto Sordi e Franca Valeri.

Gli annali del cinema anni Cinquanta e Sessanta lo ricordano con il volto del sergente Rodriguez o del capitano Morales, ma anche di Barabba nel “Ponzio Pilato”, del sadico violentatore Kovo nel film “La furia dei barbari”, di Igor e del tiranno Salmanassar, e ancora dell’Olonese o del Re Zagro ne “La vendetta di Ursus”, del pretoriano Mansurio in “Ercole contro Roma” e persino del moschettiere Porthos in un adattamento da Dumas. Livio Lorenzon si è persino affacciato a una pionieristica fantascienza ne “La morte viene dallo spazio”, e quando il grande cinema d’autore ha scelto di convocarlo, ha deposto il ghigno satanico e il fiero cinismo dei personaggi scolpiti nel “cattivo” di turno, per ritagliare prove d’attore memorabili. Come appunto il marchese Stucchi, complice di Alberto Sordi nel film di Dino Risi “Il vedovo”, o il burbero ma umano sergente Battiferri ne “La grande guerra” (1959) di Mario Monicelli e il pilota trafficone in “Frenesia dell’estate” di Luigi Zampa (1964). Ed è stato faccia iconica per poche indimenticabili sequenze d’inizio ne “Il buono, il brutto e il cattivo” (1966) di Sergio Leone, fermo nel ruolo del padre di Pamela Tiffin in “Straziami ma di baci saziami” (1966), ancora di Dino Risi, e un ferito a scorta dell’oro nel musicarello western “Little Rita nel far west”, in alcune sequenze al fianco di Rita Pavone e di un giovane Lucio Dalla (1967). Ma chi era davvero Livio Lorenzon, il “mulo” triestino degli anni Quaranta, che aveva fatto anche lo scaricatore di porto, lo scavatore di buche per il rimboschimento del Carso, e persino allenato la squadra ippica della base alleata? La sua voce, calda e autorevole, lo aveva presto portato ai microfoni di Radio Trieste, come speaker e poi come attore brillante, popolarissimo per la macchietta di Gigi Lipizzer. Ma fu il cinema il vero approdo di Livio Lorenzon: un traguardo scalato per gradi e, inizialmente, con lo pseudonimo Elio Ardan nel film “Ombre su Trieste” di Nerino Florio Bianchi, 1952. Una pellicola di scarso successo, oggi introvabile. Per Lorenzon fu solo il primo passo verso Cinecittà, che lo avrebbe accolto con decine di scritture in film di ogni genere. Di lui restano foto, locandine, i ricordi dei colleghi di set: memorie che si sono assottigliate col passare del tempo e che, frammentate alla deriva degli anni, non possono restituire un ritratto a tutto tondo dell’uomo e dell’attore, una delle glorie del cinema nazionale fiorite all’ombra di San Giusto. Per questo il documentario “Faccia da cinema. Livio Lorenzon, icona di celluloide” si incamminerà alla ricerca dell’artista, così brillante e spaccone nei suoi tanti personaggi, eppure così riservato e schivo nella vita privata.

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